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Mutuo dissenso: come risolvere consensualmente una compravendita?

Potrebbe capitare, per svariate ragioni, che sia l’acquirente che il venditore decidano di ritornare sui rispettivi passi, annullando il precedente contratto. Come si procede in questi casi? È quello che cercheremo di capire in questo articolo, in cui parleremo di mutuo dissenso.


Il mutuo dissenso è un accordo con il quale le parti di un precedente contratto decidono di sciogliere il negozio giuridico sottoscritto, così da renderlo nullo. Si parla di questo argomento nell’articolo 1372 del codice civile, nel quale, in realtà, si specifica che il contratto ha forza di legge tra le parti. Dunque, la norma sembrerebbe finalizzata a stabilire l’efficacia del contratto tra le parti. Successivamente, però, viene stabilito che il contratto può essere sciolto per mutuo dissenso (in verità nell’articolo del codice civile si parla di mutuo consenso).


Si è discusso molto, in ambito giuridico, sui fondamenti e le origini del mutuo dissenso. In particolare, due le teorie che si sono fatte strada. La prima è la teoria dell’atto contrario, secondo la quale il mutuo dissenso non è altro che un atto uguale ma di senso contrario a quello precedentemente sottoscritto. 


L’esempio più classico è quello dei contratti di compravendita. Qualora le parti decidano di accordarsi per sciogliere il contratto da entrambi in precedenza sottoscritto, dovrebbero porre in essere lo stesso negozio ma in senso opposto. Bisognerebbe, dunque, sottoscrivere un nuovo atto di compravendita (rogito), nel quale il soggetto che prima era il venditore diventa il compratore e viceversa.


L’altra teoria considera il mutuo dissenso un contratto con effetti risolutori, per il quale non sarebbe necessario stipulare un atto contrario e che trova la sua ragion d’essere proprio nell’articolo 1372 del Codice Civile. In ambito giuridico, la teoria prevalente sembrerebbe essere proprio questa. Dunque, non si provvederebbe a stipulare un nuovo contratto ma si interverrebbe direttamente sul contratto originario, rendendolo nullo.


mutuo dissenso


L’efficacia retroattiva del mutuo dissenso


Uno dei maggiori dubbi relativi al mutuo dissenso riguarda l’eventuale efficacia retroattiva del mutuo dissenso, cioè se i suoi effetti retroagiscano sin dall’origine, rendendo nullo il precedente negozio. L’opinione prevalente sembrerebbe orientata ad attribuire efficacia retroattiva al mutuo dissenso. Del resto, c’è da dire che all’interno del codice civile tale fattispecie non è indicata. Pertanto, i sostenitori di questa teoria sono convinti che l’efficacia retroattiva non possa essere negata.


L’unica reale problematica riguarderebbe gli eventuali diritti acquisiti da soggetti terzi a seguito della stipula del contratto originario. Nell’ambito delle compravendite, l’esempio più tipico può essere rappresentato dall’acquirente che, dopo aver acquisito il bene dal venditore, procederebbe a rivenderlo ad un soggetto terzo. 


Di conseguenza, rendendo nullo l’atto originario, cosa accadrebbe al bene trasferito a terzi? I fautori della tesi della retroattività ritengono sia possibile applicare, per tali casistiche, il principio esposto nell’articolo 1458 del codice civile, in base al quale sarebbero salvi i diritti acquisiti da terzi.


C’è anche chi, invece, tenderebbe a negare l’efficacia retroattiva del mutuo dissenso, soprattutto sulla base del fatto che la retroattività dovrebbe essere prevista dalla legge.


La forma del mutuo dissenso


Il nostro ordinamento giuridico stabilisce il principio della libertà delle forme. In mancanza della forma richiesta per la validità di un determinato negozio, vigerebbe il principio della forma libera anche per il mutuo dissenso.


Anche in questo caso, però, è presente una differente interpretazione che sembrerebbe maggiormente accettata dalla comunità giuridica. Si tratta del cosiddetto principio di simmetria, in base al quale i negozi secondari e accessori che presuppongono il negozio a monte debbono essere stipulati nella stessa forma dell’atto principale. Nel caso in cui l’atto principale richieda la forma scritta, si dovrà procedere allo stesso modo anche con il negozio secondario (in tal caso quello risolutorio). Tale teoria trova pieno appoggio da parte dei sostenitori dell’atto contrario. 


Mutuo dissenso e donazioni


Nel caso delle donazioni, per le quali è richiesto l’atto pubblico a pena di nullità, il negozio risolutorio dovrà rivestire la forma dell’atto pubblico. Altra questione che entra in gioco nel caso delle donazioni è quella relativa alla necessità o meno dei testimoni. L’articolo 48 della legge notarile prevede che, all’atto di donazione, debba essere necessariamente presenti due testimoni. 


Ci si chiede, pertanto, se questi due testimoni debbano essere presenti anche nell’atto di mutuo dissenso. In virtù di quanto appena affermato, sembrerebbe ragionevole ritenere che anche al negozio di mutuo dissenso della donazione debbano intervenire i due testimoni. Tra l’altro, all’atto pratico il problema potrebbe anche non porsi, in virtù del fatto che la legge consente al notaio di richiedere la presenza dei testimoni, qualora il pubblico ufficiale lo ritenga opportuno. Del resto, per atti del genere, è molto probabile che il notaio possa procedere proprio in questa direzione.


Mutuo dissenso e agevolazioni prima casa: cosa c’è da sapere?


Una delle domande che è lecito porsi quando si parla di mutuo dissenso è la questione relativa alle agevolazioni sulla prima casa. Sappiamo bene, infatti, che lo Stato riconosce dei benefici fiscali a chi acquista, per scopi residenziali, un edificio che rappresenta l’abitazione principale dell’acquirente. 


Ebbene, cosa accade nel caso in cui, in virtù di un accordo di mutuo dissenso, il contratto di compravendita venga sciolto? Poiché lo scioglimento del contratto di compravendita comporta il ritrasferimento dell’immobile, le agevolazioni fiscali sulla prima casa decadono automaticamente, in virtù del cosiddetto principio di alienazione infraquinquennale. È quanto avrebbe stabilito la sentenza 20590 della Corte di Cassazione del 2021. Questo principio, infatti, stabilisce che, ai fini dell’accesso alle agevolazioni fiscali, è vietato vendere un immobile adibito ad abitazione principali entro i cinque anni successivi all’acquisto dello stesso. 


Chiaramente, nel caso in cui venga acquistata una nuova abitazione, il soggetto che ha prima acquistato e poi rivenduto l’immobile potrà comunque usufruire dell’agevolazione sul nuovo immobile.


Diversa, invece, l’interpretazione in caso di donazione. Sempre una sentenza della Corte di Cassazione del 2021 ha, infatti, stabilito che il ritorno del bene donato nelle mani del soggetto donante non fa decadere le agevolazioni sulla prima casa, a condizione che l’accordo tra le parti per la risoluzione del negozio avvenga prima che siano trascorsi cinque anni dalla stipula del contratto di donazione.


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